Dipinto a Perugia, il Polittico di San Pietro, giunge in Francia tre secoli più tardi con le requisizioni napoleoniche.
La vita delle opere di Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, è alquanto travagliata: nessuna sua grande pala d’altare, eccetto in parte quella di Fano, è rimasta dov’era stata dipinta. In più, diversi affreschi realizzati per la Cappella Sistina, sono stati distrutti per fare posto al Giudizio Universale di Michelangelo, che insieme alla Volta, ha messo in ombra anche i tre rimanenti.
A parziale risarcimento, l’allora allievo Raffaello, nel dipingere le Stanze vaticane, in quella dell’Incendio di Borgo, salva il soffitto creato dal maestro tra il 1.507 e il 1.508: quattro medaglioni, gli unici interventi del Perugino, che non sono stati cancellati in quei locali. Tra le tante pale smembrate, spicca il Polittico di San Pietro, dipinto per la basilica di San Pietro a Perugia: ben quindici dipinti di cui restano nella sede originaria, appena cinque lacerti, ovvero le tavole minori con i santi Mauro, Costanzo, Ercolano, Pietro Vincioli e Scolastica, per di più rubati nel 1.916 e recuperate dieci anni dopo. Altre tre si trovano nella Pinacoteca Vaticana, ma le parti maggiori sono in Francia. Un’opera completamente dispersa, che a quanto pare non ha mai avuto vita facile.
LE SPOLIAZIONI VOLUTE DAL GENERALE BONAPARTE
I monaci ne commissionarono la struttura lignea già nel 1.483, ma l’incarico fu affidato al Perugino nel marzo del 1.495. Il pittore, in quegli anni all’apice del successo, si impegna per l’ingente compenso di 500 ducati d’oro, a portare a termine il lavoro entro due anni e mezzo. Un secolo più tardi, l’opera viene smontata per consentire i lavori di ristrutturazione della chiesa. Le “casse” (cornici), vengono perdute, e i pannelli sono sparsi sulle pareti della basilica: fu il primo duro colpo al capolavoro di Pietro Perugino, ma l’oltraggio definitivo avvenne nel 1.797, ad opera di Napoleone. Il generale invade l’Europa con le sue armate e un seguito di studiosi ed esperti d’arte che scelgono quali opere prelevare e portare in Francia. A due mesi dall’occupazione dei territori italiani, Napoleone scrive con orgoglio che cento quadri sono sulla via di Parigi. Il Perugino, è uno dei prediletti del generale. Insieme al polittico, parte da Perugia anche Lo sposalizio della Vergine del duomo, oggi esposto a Caen, donato da Bonaparte allo zio, il cardinale Joseph Fesch.
SOLO TRE TAVOLE SONO TORNATE IN ITALIA
Dopo qualche anno dall’arrivo a Parigi, le tavole provenienti da San Pietro andarono perdute: la cimasa con l’Eterno in gloria e la pala con l’Ascensione di Cristo, vanno a Lione, i tondi con i profeti Geremia e Isaia a Nantes, e parti della predella, finiscono a Rouen (Epifania, Resurrezione e Battesimo di Cristo). Dopo la caduta di Napoleone, nel 1.815, papa Pio VII Chiaramonti affida ad Antonio Canova il difficile compito di recuperare i capolavori sottratti dai francesi. Con l’aiuto degli inglesi, in due viaggi, lo scultore riesce a riportare a Roma 149 tonnellate d’arte.
Non tutto però. Il Veronese delle Nozze di Cana, oggi nelle sale del Louvre, era troppo grande. Non riuscì a prendere nessuna opera dei privati, data la mancanza di fondi per il trasporto, e niente di quanto si trova nei musei della periferia di Parigi. Non riuscì a recuperare neanche i lacerti sparsi del Polittico di San Pietro, di cui tornarono in Italia solo parti della predella raffiguranti i santi Placido, Benedetto e Flavia, che oggi si possono ammirare nelle splendide sale dei Musei Vaticani.










